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“A jinostra”: più che una semplice pianta

jinostra: la ginestra con la Querciola

Genisteae Dumort rappresenta una tribù di piante appartenenti alla famiglia delle Fabaceae. Molte di queste specie, aventi prevalentemente un portamento cespuglioso-arbustivo, sono indicate con il nome comune generico di ginestra. Celebrata nella poesia “La ginestra” di Giacomo Leopardi, compare anche nella poesia di Gabriele D’annunzio “La pioggia nel pineto”. Nel linguaggio popolare, la ginestra è anche detta “frusta di Cristo”, per via della forma dei suoi rami. A Conflenti, invece, è chiamata jinostra.

“Ari Cujjianti”

La ginestra forniva, insieme al lino, il filo utilizzato nei telai paesani per la produzione di tele e tessuti. Ma mentre il lino era coltivato, la ginestra si raccoglieva nelle campagne del paese dove cresceva in abbondanza.

jinostra: la Ginestra

La ginestra dipinge di giallo le nostre colline

“Ra jinostra”

Anche Vittorio Butera le dedica una poesia. Ne parla, infatti, in E due cammise.

Ma è ffatta ccu jjinostra
De chista terra nostra
E ppe’ ra pelle mia
E’ ‘nna galantaria!
‘U’ ll’ha ffilata ‘a fata,
‘U’ ll’ha ttissuta ‘u ragnu,
M’arriva a ru carcagnu,
Pare ‘nna cirma ujjata;
Ma de ‘ssa tua è cchiù mmeglia
Ch’armenu me cummeglia!
Eppure ca me carda
E ‘un cape intra ‘nu pugnu,
Addura dde cutugnu
E ssa dde spicanarda!
Me ricuordu… Fo’ cota ccu ‘ste manu
A ‘nnu diestru luntanu;
Vulluta a ‘nna quadara
Ccu ll’acqua ‘e ‘sta jumara;
Manganata, filata,
De sira, mparu mparu,
Avanti ‘a vamparata
Cara ‘e ‘nu fuocularu.
A ‘nnu granne tilaru
Vinne ddoppu tissuta
E ppue vinne ttagliata,
E ppue vinne ccusuta. […]
‘Ste parole pisa a ra vilanza :
‘A sita èdi apparenza,
‘A jinostra è ssustanza.

Jinostra fase di Lavorazione

Lavorazione della ginestra

Le donne in procinto di sposarsi andavano a raccoglierla nel mese di giugno. La leganvano in mazzetti e la portavano in riva al fiume, accendevano un fuoco all’aperto e immergevano gli steli in una caldaia piena di acqua bollente. In seguito i fasci di ginestra si lasciavano a mollo sotto l’acqua corrente e una volta ammorbiditi si cospargevano di sabbia e si strofinavano su uno “stricaturu”. A forza di strofinare si sfilacciavano le fibre riducendosi in un filo rudimentale che era raccolto nel nimulo e tessuto per creare strofinacci da cucina (grosse) usati anche per la lavorazione del maiale come “fadale”. Le grosse, passate al bucato diverse volte, diventavano più morbide, resistenti e durature. Ogni sposa ne portava nel corredo quattro o sei. C’è da dire che in qualche antico corredo, al fondo di una vecchia cascia, si può ancora trovare “na grossareddra de jinostra”.

 

Foto in evidenza di Battista Folino

“A jinostra”: più che una semplice pianta ultima modifica: 2019-04-05T09:30:19+02:00 da Veronica Carullo

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