U fhurnu: il sapore e l’odore del pane appena sfornato – itConflenti

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CIBO LUOGHI DI RITROVO MEMORIA

U fhurnu: il sapore e l’odore del pane appena sfornato

fhurnu: Pane In Una Cesta

Quando un paese è piccolino si dice che abbia quattru case e nu fhurnu. Il detto vale anche per Conflenti. Sebbene in passato, quando la popolazione era numerosa, ce n’era più di uno. L’unico a essere arrivato fino ai giorni nostri, però, è quello di Catirina a jiazzariota e Giuanninu u pustiari.

U fhurnu e Catirina

U fhurnu e Catirina era veramente il cuore di Conflenti. In tempi passati la povertà imponeva una dieta quasi esclusivamente fatta di pane e le persone ne acquistavano tre-quattro chili al giorno. Così u fhurnu è divenuto un luogo di ritrovo per la gente del paese che arrivava anche dalle parti più lontane. E ha assunto una grande importanza nella storia della nostra piccola comunità. La popolazione conflentese, come dicevamo, all’epoca era numerosa, e Caterina, per consentire a tutti di avere il pane fresco, girava per il paese a piedi con un cuviarchjiu sulla testa. Concludeva il suo giro al punto vendita che si trovava nei pressi dell’attuale bar Centrale. In pratica, era una panetteria ambulante.  

Catirina A Jiazzariota

L’odore del pane appena sfornato dal forno a legna avvolgeva la mente e i sensi di chi passeggiava verso Pumetta. E la legna stessa, accatastata affinché seccasse, rimane nei ricordi di tutti noi. Così come il tepore che c’era nel panificio. Piacevole d’inverno, infernale nei mesi caldi. Il che ci fa capire come questa professione, che richiede costanza e meticolosità, sia davvero dura.

Una passione trasmessa di generazione in generazione

Catirina e Giuanninu hanno trasmesso la passione per questa professione anche ai loro figli. E da allora il forno di Conflenti è nelle mani della stessa famiglia, giunta ormai alla terza generazione. Infatti, quando i genitori giunsero all’età della pensione, Sara e Peppe e i loro rispettivi consorti, dapprima Vittorio e poi successivamente anche Maria, presero in mano le redini dell’attività. Dei fratelli Villella conservo un ricordo meraviglioso: erano l’uno il braccio destro dell’altro. Dalle loro mani sono usciti pane, panini, filoni e pizze, taralli e frese in grandi quantità e, su richiesta, il famoso pandispagna di Sara. E come dimenticare l’immancabile guasteddhra? Il pane col buco a forma di ciambella, la cui crosta era particolarmente friabile e la mollica alveolata. E il suo ricordo è accompagnato da quello dei nuazzuli che si spalmavano, e si mangiano tuttora, rigorosamente nella guasteddhra cauda.

U fhurnu: Sara E Vittorio

Appena sfornata, era così allettante che la tentazione di mangiarla senza aspettare che si raffreddasse era così alta, soprattutto se imbottita di mortadella. Golosa eccezione era anche il pane de nnianu, detto pane giallo, fatto di farina di granturco la cui crosta era di color oro e la mollica fitta. E poi l’elegante e morbida cuzzupa, intramontabile regina pasquale lucida e disegnata, intrecciata e adornata da uova. Sotto Natale e Pasqua, periodi in cui tutte le famiglie conflentesi si cimentano in cucina a produrre prodotti tipici in grande quantità, i proprietari della panetteria offrivano loro un servizio. Su appuntamento, le donne, ccu re tajareddre supra a capu, vi si recavano per cuocere nel forno a legna messo a disposizione le prelibatezze  fatte nelle proprie case.

La bontà del pane du fhurnu

Il pane era fatto da farina, acqua, lievito e sale. La pezzatura andava dal mezzo chilo, al chilo e ai due chili. Poteva essere conservato anche per una settimana rimanendo morbido. Oggi averlo fresco tutti i giorni è una stramberia moderna, anche se il pane non resiste a lungo come un tempo. Dopo aver  fatto riposare l’impasto per la lievitazione, veniva diviso sulle spianatoie di legno coperte con tovaglie, per farlo crescere. Successivamente, veniva scoperto e schiacciato con le mani, ricoperto e fatto di nuovo lievitare per il tempo necessario. Ricordo Peppe con la pala di legno che Sara prima cospargeva di farina e poi vi poggiava sopra i panetti che finivano immediatamente  nel forno. Le pale usate per le infornate, destinate a durare molti anni, venivano realizzate da maestri artigiani su misura.

Impossibile resistere

Mia mamma mi metteva mille lire tra le mani, e mi diceva: “Vai a comprare il pane”. Io tutta contenta uscivo di casa e mi incamminavo lungo la strada  che du vaddhrune portava alla salita e Bardu e girunnu. Man mano che mi avvicinavo iniziavo a sentire l’odore del pane appena sfornato. Scostata la  tenda scacciamosche venivo investita dal calore e dal profumo. Le mani di Sara erano sempre piene di farina. Mi avvolgeva il pane in un foglio sottilissimo di carta marrone e mi diceva: “attenta ca pila”. Se era il mio giorno fortunato avevo in dono nu buccunotto caldo, altrimenti un panino.

Panettiere che fa panini

Ritornavo quindi verso casa, con questo pezzo di pane bollente che dovevo passarmi tra le mani per non scottarmi troppo. A metà strada, però, non potendo resistere a quella tentazione, ne staccavo con le dita un pezzo ustionandomi la lingua, ma rimanendo inebriata da quel sapore e da quel profumo. A questa grande famiglia va il merito di essere riuscita a mantenere intatta la storia di un simbolo del nostro paese: il pane come depositario di una cultura, quella dei nostri nonni.

U fhurnu: il sapore e l’odore del pane appena sfornato ultima modifica: 2020-07-15T09:00:00+02:00 da Lucy Stranges

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