Don Riccardo Stranges, il parroco e la benedizione pasquale - itConflenti

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MEMORIA PERSONAGGI STORIE

Don Riccardo Stranges, il parroco e la benedizione pasquale

Don riccardo Durante La Messa

Non curava solo le anime, ma anche lo spirito di-vino assieme a molti membri della comunità. Nelle sue parrocchie di San Nicola e delle Madonna di Loreto molti di noi abbiamo ricevuto i sacramenti dal battesimo al Matrimonio al battesimo dei figli. Don Riccardo non perdeva tempo: era dinamico, sbrigativo e di compagnia. Intorno alla ‘damigiana’ si consumano storie conflentesi, discussioni dotte sui fatti del mondo… e anche qualche marachella.

La compagnia del calice di-vino

Ciccu Fhulinu, Luicinu, Battistelli erano, assieme ad altri, quelli della compagnia del calice di-vino. Non si andava mai oltre il limite se non quello dell’allegria. La chiesa e il parroco erano punto di riferimento; assieme ad altri personaggi completavano la vita quotidiana della comunità. Giusto per ricordare: c’era il campanaro, astutacannile Tonucci. Era un buono, ma non un fulmine di guerra, per via di qualche piccolo difetto che gli procurava scherzi e qualche incazzatura. E quando succedeva attraversava veloce i vicoli che scendevano verso la chiesa per suonare le campane con un grido liberatorio che ripeteva fino alle corde: “Cujjentari paishe e chivirhoi”. Non riusciva a scandire bene chiavaroi. Che non è proprio un complimento, come potrebbe apparire a chi non conosce il dialetto conflentese. C’era Battistelli, organista storico che si accompagnava spesso a don Riccardo.

Don riccardo insieme ad amici
Don Riccardo e la compagnia del calice di-vino

Le suonate di accompagnamento erano per lo più le stesse alle quali sovrapponeva qualche accenno di canto. Capitava, e non di rado, che Battistelli indugiasse sulla tastiera per via di qualche istantaneo appisolamento. A quel punto un secco colpo di tosse di Don Riccardo, accompagnato da un amento della tonalità della voce e da uno sguardo che diceva “cchi fhai duarmi Battiste’?”, lo rimettevano subito in posizione vigile. E lui affondava le mani nella tastiera e la spinta dell’aria nelle canne con i piedi per fare intendere che si stava preparando per l’affondo di chiusura. Sia ai tempi in cui la celebrava in latino, sia quando si passò all’italiano, la durata delle sue messe aveva un tempo contingentato. Tanto che alcune fedeli avevano il dubbio che avesse abbreviato. E quando glielo manifestavano, rispondeva: “sempre la stessa messa è, solo la messa cantata è un po’ più lunga”.

Il ricordo più bello

Il ricordo più vivo e più bello che io ho è quello della benedizione delle case in occasione della Pasqua. Nelle campagne, dove io abitavo, avveniva il Lunedì dell’Angelo ed era un bel fermento la preparazione dell’accoglienza. Si spazzava d’avanti alla porta si dava una bella sistemata all’entrata. Nella più assoluta dignità di cose e case povere nessuno voleva sfigurare. Io facevo l’avvistatore. Allora la campagna non era bosco. Da Paoli si vedeva Lisca, Annetta, Piano Janni, Serra d’Acino, Guglia e pure Serra D’Urso. Le vie erano pietre e polvere o pietre e fango in base all’andamento del tempo; non c’erano strade. L’avvistamento incominciava con i cosiddetti portatori, che erano parrocchiani di fiducia che raccoglievano i doni che ogni casa offriva in segno di ringraziamento per la benedizione ricevuta.

Don Riccardo: sacerdote

C’era chi portava i cuviarchi nei quali ci andavano soppressate e formaggio. Chi e panara, in cui ci andavano le uova e chi a viartula per il capocollo. La tipologia del dono che veniva posto sopra a buffetta all’entrata raffigurava anche un po’ lo stato di povertà. Si partiva dalle uova, poi formaggio, soppressata e chi stava un po’ meglio il capocollo. Per finire al capocollo do cozziattu, che veniva contrassegnato ccu nu frinciu e finiva in uno scomparto speciale della virtuala che portava Cicciu Rasu. Assieme alla moglie, a Battistelli e alla sig.ra Maria do Piru erano i portatori.

Don Riccardo u frugulu

Le campagne erano popolate, parlo degli anni 59/64. Ogni casa era abitata da una o più famiglie. Ma il tutto Don Riccardo lo completava prima dell’ora di pranzo che ad anni alterni avveniva a casa dei miei genitori e l’altro a casa di Francesco Cimino, il papà del commissario Eugenio Cimino. Il suo passo svelto con la veste tagliava le vie come un lampo. Spuntava dalla Lisca e in un batter d’occhio era già ad Annetta, a Serra, Piano Janni e subito ara via e sutta che portava a Paoli. Tanto che mia nonna, Rosa a santa, era solito esclamare: “e cchi ffoze nu frugulu” .

Don Riccardo E Don Osvaldo
Don Riccardo passeggia insieme a Don Osvaldo Butera

Lei sperava che io potessi diventare prete perché sosteneva, ed è vero, che nei Paola c’era stato un prete di nome Filippo Paola. Ma era stato un prete un po’ carbonaro, liberale e pure sovversivo. Tanto che fu sospeso più volte, per come racconta il nostro storico Villella. E questo suo desiderio lo esprimeva chiedendo una benedizione particolare per me. Ma don Riccardo, che aveva inquadrato anche la mia fanciullezza irrequieta, le diceva: “Za Rò umme pare cosa”.

Ricordi di Don Riccardo, parroco e uomo

Ho voluto ricordare alcuni frammenti di don Riccardo come Parroco e come Uomo. Nel tempo ho sempre avuto amicizia e stima, pur non essendo mai dei “nostri”, per dirla chiaramente, dalla mia parte. Nelle tornate delle elezioni comunali, quando fui eletto sindaco, mi chiamò per andarlo a trovare. Io pensai che mi chiedesse qualcosa per la chiesa, ma il tenore fu tutt’altro. Mi volle offrire un liquore e in maniera sorniona mi disse: “Non ti fidare di nessuno”. Chiaramente in questo non lo ascoltai. Ma poi, dopo la sua dipartita, capii. E ogni anno il 2 novembre, finché posso, ha un fiore in quell’angolo nascosto del cimitero di Conflenti.

Don Riccardo Stranges, il parroco e la benedizione pasquale ultima modifica: 2019-09-23T09:30:19+02:00 da Vittorio Paola

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