Ultimamente sono stato a Conflenti e uno dei tanti motivi per cui mi è dispiaciuto rimanere solo per pochi giorni è stato non poter partecipare a un evento molto importante che si tiene durante l’inverno. Starete pensando ai bellissimi “Presepi nel Borgo” oppure alla stupenda iniziativa di “Felici&Conflenti“. No… mi riferisco alla lavorazione del maiale!
Non voglio parlarne da un punto di vista tecnico. L’ha fatto benissimo Giancarlo Villella in un articolo che vi invito a leggere pubblicato sempre su it.Conflenti l’anno scorso. Voglio soffermarmi, invece, sui ricordi della mia infanzia legati a questi momenti.
Ricordi felici del passato
Solitamente la lavorazione del maiale si suddivide in tre giorni.
Il primo giorno il maiale veniva diviso nelle parti che sarebbero state successivamente lavorate. Bisognava essere bravi a farlo, non lo potevano fare tutti. Visto che si utilizzavano coltelli che erano delle vere e proprie armi, lo potevano fare solo i grandi! Infatti se ne occupavano esclusivamente mio padre e mio zio. Il giorno dopo si impastava la carne e, soprattutto, si assaggiava per assicurarsi che fosse stata aggiunta la giusta dose di sale. Da questa cosa dipendeva la conservazione degli insaccati. E, quindi, anche in questo caso, c’erano delle persone preposte a farlo! Da noi questa persona era zio Lorenzo che, come molti sapranno, aveva un negozio di ferramenta. Oggi i supermercati Carrefour si vantano di tenere aperto 24 ore al giorno, ma mio zio questa cosa la faceva prima ancora che questi supermercati venissero inventati!

Quindi bisognava aspettarlo per ore e ore e, quando finalmente arrivava, gli si consegnava il pentolino con la carne fritta, calava il silenzio e tutti si fermavano a guardarlo. Se diceva che andava bene, si tirava un sospiro di sollievo e si iniziavano a preparare le salsicce! A quel punto bisognava riempire la macchinetta con la carne e girare manualmente la manovella. Per noi bambini era addirittura una cosa divertente. Eravamo 8 cugini di cui 7 maschi (povera Elisa…) e, praticamente, litigavamo per farlo! Anche in questo caso, bisognava essere bravi. Se eravamo troppo precipitosi le stentine si rompevano e mia zia e mia mamma, che avevano passato tutto il giorno prima a prepararle, ci pigliavanu ccuru maccarunaru e, anche se eravamo abbastanza veloci da evitarle (non era il mio caso) ci lanciavano una tappina e ti colpivano con una precisione da fare invidia a Tex Willer!

Guasteddra e nuazzuli
L’ultimo giorno si lavavano le stoviglie e si bollivano tutti i rimasugli per preparare i nuazzuli. Erano buonissimi nel pane caldo. All’epoca Caterina faceva due sfornate di pane al giorno: una la mattina e una alle 4 di pomeriggio. A noi bambini ci mandavano a prendere il pane. (Se dove vivo adesso mandassi un bambino di 7-8 anni da solo nel negozio sotto casa, verrebbero gli assistenti sociali con i carabinieri ad arrestarmi!)
La mia famiglia, però, non era originaria di Conflenti ma era “emigrata” da un paese con una lingua e usanze diverse dalle nostre: Martirano! Infatti, tra i miei ricordi ci sono un paio di episodi in cui mi sfuggì di chiedere una pitta e Caterina e Sara mi sgridarono dicendomi: “se vuoi una pitta vai a Martirano a comprarla dai tuoi parenti! A Conflenti si dice guasteddra!”
Nicola Bartolotta (‘e Luìce)