Angelo del focolare, sposa e madre, ruoli subiti e non scelti: la donna!
Instancabile lavoratrice da mattina a sera. Laboriosa come una formica, con il suo pesante cofanu in testa, attraversava sentieri e ponti de jumare senza mai spunire il carico.
Lasciava a pupa de pezza prestissimo e molte di loro avevano a malapena la quinta elementare, spesso costrette a sposare un uomo senza conoscerlo bene e soprattutto senza amarlo.
I matrimoni venivano combinati cercando di trovare nu buanu partitu attraverso amici, parenti e cumpari. Una volta maritata, partoriva un figlio dietro l’altro e subito dopo ricominciava a dedicarsi ai lavori di casa fino a notte fonda, sopportando la prepotenza del marito. E si nun se facianu ppe d’iddri doveva obbedire anche ai suoceri. Bisognava stare attente a come ci si comportava perché la suocera era sempre pronta a criticare e a ricordare di mantenere comportamenti corretti: “pulite, pulite! ” Bisognava misurare gesti e parole altrimenti “a gente sinne facia gabbu“.
La nascita di una figlia femmina…
Con grandi festeggiamenti veniva accolta la nascita di un figlio maschio il quale avrebbe mannatu avanti a razza e dato braccia per il lavoro nei campi. Silenzi e malanove invece quando la figlia nata era fimmina. Da qui il modo di dire “amu fattu a matinata e ra figlia fimmina!”
La nascita di una figlia femmina era da subito un problema. Bisognava preparare la dote e liberarsene il prima possibile facendola maritare. E se ciò non avveniva, si occupava dei fratelli più piccoli crescendoli come una seconda mamma. Dovevano uscire di casa il meno possibile e spiavano u nnammuratu dalla finestra.
La donna era anche quella che teneva i conti in casa, a libretta a ra putiga, facendo quadrare i magri bilanci di poche lire. Vendevano di nascosto qualche uovo per affrontare piccole spese che il marito non approvava.
Quando tornavano dai campi c’era da cucinare, da civare gaddrine e puarci… bisognava fare il bucato, cusire, arripizzare quaziatti, cauzi, giacche e anche tinire a casa nu lustru.
Scambiare attrezzi per la manodopera, nu zapuniaddru o na runca, era un modo per creare legami e amicizie seppur intrisi di pettegolezzi.
Nascere povere voleva dire lavorare convinte che fosse la regola della vita. Ma nonostante tutto, in quella miseria, riuscivano a trovare momenti di serenità.
Storie di donne fragili e forti allo stesso tempo, storie di donne che dietro ad un sorriso nascondevano una lacrima. Storie di mamme amorevoli che soffrivano in silenzio, storie di donne con un passato triste ma che merita, soprattutto in questo giorno, di essere ricordato.
Grazie Donne! Grazie nonne e mamme cujjintare!