Scrivo sempre nella convinzione che i conflentesi non possono fare a meno del proprio passato e non possono e non devono assolutamente dimenticare che la vita di oggi è figlia legittima di quella di ieri e tradizioni e passato non vanno trascurati o peggio rimossi.
Con questo spirito oggi vorrei farvi rivivere i tempi del vecchio e caro fuacularu* quando “nu zuccu ncarpinatu paru paru ardìa cumu na cima de jacchera“* attorno al quale la famiglia intera si riuniva la sera per commentare i fatti del giorno, scambiare pettegolezzi e raccontare storie e rumanze , mentre si mangiavano ruseddre* o patate arrostite sotto la cenere. I tempi erano quelli che erano, se cummattia ppe ‘nu piazzu ‘e pane*, la famiglia raccolta davanti al focolare si trovava a fare i conti con la dura realtà e con le tristi condizioni economiche. E l’uamini* dopo una giornata di freddo, di sospiri, di dure sofferenze, a sera, quando ritornano a casa, pur sapendo che li attendeva la miseria erano contenti di trovare almeno il fuoco acceso. E il focolare da sempre è il cuore della casa che illumina e riscalda, il posto in cui ci si ritrovava per abbandonare finalmente le fatiche dei campi. I vecchi focolari erano di grandi dimensioni da poter contenere le famiglie numerose. Erano di forma semi circolare e non avendo ciminiera, il fumo usciva all’aria di ciaramili*. Mi piace ancora oggi ricordare piacevolmente la cucina economica delle nostre nonne, dove a pignata* immersa nelle braci bolliva a fuoco lento per ore e ore regolando sapientemente la distanza dalla fiamma e alimentando il fuoco di più o di meno a seconda delle necessità. Man mano che si consumava la legna, la brace abbondava e si raccoglieva con una paletta per alimentare na vrascera*.
U fuacularu, simbolo dell’unità familire
Oggi il fuoco è nascosto nelle caldaie, il calore giunge in casa mediante tubi e radiatori. Narrare intorno a un termosifone non è la stessa cosa che narrare intorno a un focolare. Un tempo il crepitio del fuoco sprigionava miriadi di asciciddhre* che accendevano la fantasia dei fanciulli fantasiosi e creduloni. Quando nelle serate invernali il suo lingueggiare quasi ipnotico ispirava i nostri nonni a raccontarci una favola. A Natale al centro del camino troneggiava nu cippu de cerza o de castagna* destinato ad ardere tutta la notte. La cenere residua, una volta arso il ceppo, veniva sparsa nei campi e ai piedi delle piante da frutto affinché producesse fertilità.
Riti e tradizioni che ruotavano intorno al caminetto
Ai tizzuni* rimasti si attribuiva un potere divino, per cui venivano conservati per essere usati come rimedi contro le calamità naturali. Il fuoco era considerato purificatore e infatti , quando un’immagine sacra era ormai deteriorata in segno di rispetto veniva bruciata nel focolare domestico. Lo stesso si faceva con i ramoscelli d’ulivo benedetto nella domenica delle Palme quando si portavano a casa i nuovi ramoscelli. E intanto la mamma al focolare cuciva e rammendava calzini e nanna chi filava chianu chianu, ntramente me cuntava na rumanza*. Tempi felici , bastava na fhicu siccata* ed una fiaba raccontata dalla nonna e noi bambini eravamo felici e contenti. Quanta allegria c’era in quelle case povere ricche di valori ormai persi.
Tradizioni che vanno scomparendo
L’avvento delle caldaie a Conflenti e le esigenze di vita moderna, l’assenza della donna che un tempo regnava in casa badando al fuoco, hanno trasformato il caminetto ad elemento puramente estetico e decorativo. Oggi il focolare è associato alla mancanza di comodità, di benessere, alla presenza di fatica nel trasportare la legna in cantina ma con il gusto del ritorno alle belle cose, si sta riscoprendo il piacere del camino in casa!
Non è il mio caso perché io non potrei vivere senza la fiamma viva senza quel bagliore igneo , l’inverno perderebbe il suo incanto, la sua grazia. E l’antico manuale di sopravvivenza non viene meno mai… chi pane avíu muríu chi fhuacu avíu campau!*
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– fuacularu: focolare
– nu zuccu ncarpinatu paru paru ardìa cumu na cima de jacchera : un ceppo di legna ardeva allo stesso modo di un ramo di pino (V. Butera- Natale)
– ruseddre: caldarroste
– cummattia ppe ‘nu piazzu ‘e pane*: si lavorava per un pezzo di pane
– rumanze: storie romanzate
– uamini: uomini
– ciaramili: tegole
– a pignata: pentola in terracotta
– na vrascera: un braciere
– asciciddhre: scintille
– nu cippu de cerza o de castagna: un ceppo di quercia o di castagno
– tizzuni: carbone
– nanna chi filava chianu chianu, ntramente me cuntava na rumanza: nonna piano, piano filava mentre mi raccontava una storiella
– na fhicu siccata: un fico secco
– chi pane avíu muríu chi fhuacu avíu campau!: chi ha avuto pane è morto chi ha avuto fuoco è vissuto