Vaccaro Maria Rosina nasce a Conflenti il 20 febbraio del 1935. Da piccola mentre si trovava sui monti del Reventino con il fratello Gerardo, a seguito di un fatto accadutole, le diedero l’appellativo di “furtuna mia“. Nessuna valenza denigratoria o offensiva al benevole nomignolo. Dapprima non lo aveva accettato ma poi se lo cucì addosso come un nome.
A 27 anni maturò la convinzione che era giusto trovare marito. Per tutta la vita infatti andò avanti con la solita frase “miegliu maritata e no mala vintumata“. Sposò così un uomo di 40 anni più grande Aurelio Celeste nel 1962 dal quale ebbe due figli. In paese visse insieme alla mamma Rosa che allevò i nipoti. Nei primi anni ottanta vennero a mancare gli affetti più cari, il marito dopo una lunga malattia e la mamma successivamente. Il figlio Sergio fin da piccolo dovette prendersi cura di lei. Una mamma un po’ diversa che non sempre riusciva a gestire. Si muoveva sempre come un acrobata tra casa, figli, lavoro e medici. Ben presto la strada divenne l’unico posto che la confortava, allontanandola da qualsiasi nostalgia.
Rosina e l’amore per la tarantella
Rosina gioiva ascoltando quella tarantella cujjintara che tanto amava. Quanti abballi e vattimanu durante le feste paesane con i fratelli Bressi. Un personaggio alquanto stravagante seppur amorevole. Spesso i turisti non potevano fare a meno di soffermarsi con lei, anche se per pochi minuti. La situazione diventava goliardica quando ti prendeva sotto braccio e ti invitava a fare na viscata, o n’abbaddrata. Il suo carattere era estroverso, gioviale, allegro. Aveva il dono della parlantina svelta, seppur a volte nei termini diventava spigolosa. Sempre pronta a raccontare storie di fatti accaduti con lunghi giri di nomi e catene di fatti. Di spirito pronto ,veloce a cogliere le battute che commentava così: si t’affunni passi a bivire. Bastava una parola una frase per innescare una delle sue congetture dalla più realista alla più fantasiosa. Spesso l’ironia si trasformava in rabbia. Una rabbia provocata dai ricordi dei tempi passati nel disagio de Valintune dove passò la fanciullezza.
Grande lavoratrice
Si alzava presto doveva andare a prendere l’acqua per cucinare e per lavare. Aveva il compito di far fascine di legna per il fuoco che portava dal fiume in testa. Poi ancora lavare i panni al fiume. Una gran faticaccia che andava a sommarsi ai non facili lavori quotidiani. Ma la scuola proprio no! Leggere, scrivere, fare i conti, imparare le poesie a memoria, non erano cose per lei. Era l’ultima donna del paese che ancora lavava i panni a mano a Trazzinu con il sapone fatto in casa. La lavatrice è rimasta da sempre lì mai usata quasi le faceva paura. Il mondo della tecnologia non era per lei. Avendo passato la gioventù in mezzo ai boschi e alle piante di quella linfa si nutrì per tutta la vita. Infatti arrivata in paese non abbandonò mai il fiume e la campagna. E quando d’estate il sole batteva forte negli orti la si incontrava sonnecchiosa e pigra. Quasi come un giovane indolente sedeva al bar Centrale. E in primavera, accomodata nelle sue ansie, al bar Visora dove aspettava l’arrivo delle rondini.
La vecchietta col bastone e la camicetta rosa
Da tanti viene ricordata come la vecchietta col bastone e la camicetta rosa. Il rientro nel tardo pomeriggio non era che la conclusione della sua giornata. Il momento tanto atteso in cui arrivava il figlio dal lavoro che la riaccompagnava a casa. Spesso d’estate si intratteneva con i turisti dichiarando di conoscere perfettamente i loro parenti, che nominava per nome, cognome e grado di parentela. A volte parlava di se stessa e della sua famiglia, decantando la sua abilità di madre nell’aver cresciuto i suoi due figli. Ed eccola col bastone avvolta nel pesante cappotto abbottonato e le mani affondate nelle tasche. Uno scialle di lana in testa mentre procede lenta e silenziosa, si ferma, si guarda intorno spaesata: deve soffiarsi il naso. Prima tappa il bar per sorseggiare un birra fresca accompagnata da un caldo cornetto alla crema un’abitudine insolita a cui non rinuncia facilmente. Poi in Chiesa come tutte le mattine ,un modo per incontrare gente e non scivolare ulteriormente in quel cupo e desolante ritiro che in casa sarebbe diventato insopportabile. Sembra una sentinella a guardia della propria solitudine. Ma è lei che sceglie di vivere libera.

Rosina negli ultimi anni della sua vita
Negli ultimi anni però la sua salute cominciò ad aggravarsi. Cominciò ad aver bisogno di un’assistenza continuativa e di cure costanti. I figli trovandosi in una situazione emotiva difficile, la affidarono a una struttura. Li vi rimase finché non passò a miglior vita. Rosina rimane nel cuore e nella mente di chi l’ha conosciuta anche solo per un attimo. Sarà il suo modo di sorridere di incuriosire tutti con i suoi sbalzi d’umore. Sarà il suo modo di non aver paura neppure dell’inferno, nello stesso tempo cercare disperatamente un po’ di luce. Come urlare di non aver bisogno di nessuno e poi in silenzio sperare che qualcuno la salvi.