Oggi per fare la salsa laviamo i pomodori, li spacchiamo facendo uscire un po’ di semi, li mettiamo dentro la quadara, li facciamo cuocere, li scoliamo, li passiamo con la macchinetta elettrica, saliamo la salsa la imbottigliamo e la bolliamo dentro u quadarune, con il cosiddetto procedimento di bagnomaria. Una volta messe le bottiglie nel quadarune si coprono con sacchi di iuta o stracci vari e ci si mettono delle pietre sopra per impedire che durante l’ebollizione si rompano. Una volta, oltre a queste accortezze, ogni bottiglia si avvolgeva in fogli di giornale. Ma il procedimento per fare la cunzerva non è sempre stato così. Vi raccontiamo come la preparavano i nostri nonni e bisnonni.
A cunzerva essiccata al sole
Un tempo non c’erano tutte le comodità di oggi e non si conoscevano tante tecniche. Perciò anche la salsa si faceva in modo rustico. La cunzerva, infatti, aveva una seconda cottura al sole. Una volta cotti, i pomodori si passavano allo stricastrattu, una specie di piatto di ferro dal fondo bucherellato. Si salava la salsa così ottenuta e si metteva a cuocere fino a diventare molto asciutta. Ancora calda, veniva stesa sul masciddraru e messa ad asciugare al sole anche per un mese. Se il tempo non lo consentiva, si infornava avendo l’accortezza di rigirarla spesso in modo da asciugarla uniformemente.
Una volta asciutta, le donne la raccoglievano e conservavano in vasi di terracotta, coperta con un filo d’olio, una foglia di cavolo e un tassello di legno. Quando si doveva fare il sugo si prendeva qualche cucchiaiata di salsa, la si rigenerava e la si cuoceva nel modo voluto. Qualche cucchiaio bastava a condire la pasta per dieci persone.
Con un altro metodo dopo aver passato i pomodori col stricastrattu si salava la salsa, la si cuoceva facendola restringere bene. Si aggiungeva un grammo di acido salicilico per litro e la si imbottigliava senza poi bollire le bottiglie nel quadarune a bagnomaria per circa mezz’ora dall’ebollizione.