Un brutto nemico quest’anno non ha permesso lo svolgimento di alcuni riti e feste di comunità, tra queste una delle feste penalizzate è il Carnevale, non in maschera ma in mascherina.
Carnevale, la festa della baldoria e del divertimento, dello stare insieme, un tempo era ancora più sentito e partecipato com’è emerso nei racconti dei più anziani.
Carnalivara: riti e travestimenti…
Un elemento caratterizzante erano i travestimenti, alla meno peggio, con quanto si aveva a disposizione bastava nu cappottu ara mmersa e nu pocu de carvune ppe culurare a faccia.
Era festa in piazza e in casa. I mascherati si divertivano a passare da casa degli amici e bussavano dicendo: Si aviti piacire simu venuti ppe scherzare. Chi era mascherato doveva farsi riconoscere per entrare, e se gli si dava il permesso, l’allegra combriccola entrava nella casa cantando e suonando e la padrona di casa era pronta ad offrire: crucette, nuci, castagne mpurnate e vinu
A Conflenti, un tempo, nel giorno di martedì grasso , si inscenava la morte di Carnalivara. In una rudimentale bara di tavole un uomo personificava Carnevale, morto per aver mangiato troppe polpette e carne di maiale, e per aver bevuto esageratamente. Un genuino corteo di mascherati si snodava per le vie del borgo, accompagnato dal suono di tamburi, grancasse e griddrere, con canti, danze e il pianto disperato e allo stesso tempo comico di alcune donne. Al termine del corteo nel piazzale antistante la Chiesa dell’Immacolata avveniva, tra risate e allegria, il rogo del fantoccio di Carnevale.
Cortei separati …
Anche nel caso di questa festività, emergono delle differenze nel corteo di Conflenti Superiore e quello di Conflenti Inferiore. Si ricordano due Carnalivara distinti, ognuno con le proprie peculiarità. Non si permetteva ai figli di andare ad assistere ai festeggiamenti dell’altro carnevale, ed ogni quartiere sosteneva di avere organizzato la festa migliore.
Anche al Casale si metteva in scena nell’ultimo giorno dei festeggiamenti, il funerale di Re Carnevale. Nel corteo, si portava nu priscaru intra nu tavutu fattu ccu quattru tavule. Veniva accompagnato dai mascherati , da donne piangenti vestite da pacchiana ccu ra fadiglia sciadata perché in lutto. Davanti la Chiesa di San Nicola il fantoccio veniva bruciato con tutta la bara. Questo rito di eliminazione decretava la fine dei festeggiamenti, delle baldorie e delle abbuffate.
Le donne a sera si preoccupavano di lavare bene piatti e stoviglie con la cenere, per elidere i residui di grasso; c’era addirittura chi sostituiva le pentole da utilizzare durante la quaresima.
Il giorno seguente, il mercoledì delle Ceneri, alcune famiglie del borgo, esponevano ad una canna sospesa da una casa all’altra delle bamboline di pezza. Recavano nelle mani il fuso e la rocca e con ai piedi una patata con sette penne di gallina: sono le corajisime fantocci rituali. Utilizzati dalle società tradizionali per decretare la propria adesione alle prescrizioni della dottrina cristiana e scandire il trascorrere delle domeniche fino al giorno di Pasqua. L’ultima penna tirata dal più piccolo della famiglia, nel giorno del Sabato Santo, segnava la fine del lungo periodo di penitenza, privazioni, digiuno e annunciava la gioia della Pasqua di Resurrezione.
Foto in evidenza di Mario Carino