Maria Russo nasce a Erice, in provincia di Trapani, nel 1897. Cresce nel centro siciliano che, ai primi del Novecento, contava circa diecimila abitanti, e si forma come insegnante di scuola elementare alla Scuola Normale Femminile Superiore di Trapani, a pochi chilometri da casa.
All’epoca il percorso per diventare maestra, per come disciplinato dalla Legge Casati del 1859, prevedeva tre anni di studi in una Scuola Normale, alla quale si accedeva – previo esame di ammissione – a quindici anni per le ragazze e a sedici per i ragazzi. Ciò, anche in assenza di un corso continuativo di studi fra la scuola elementare (obbligatoria fino a otto anni) e la stessa Normale.
Maria Russo, maestra a San Mazzeo
E così, Maria Russo nel 1915, a soli diciotto anni, diventa maestra elementare. L’anno seguente, nel 1916, è assegnata alla scuola elementare di San Mazzeo, frazione di Conflenti, in provincia di Catanzaro. Maria diventa quella che fu definita una “maestra di frontiera”, dove per “frontiera” non s’intende solo un carattere “meramente geografico, ma sovente composito, fatto di distanze economiche, culturali, sociali e anche politiche da colmare” (P. Giorgi, R. Calgaro, Maestre di frontiera. Storie di piccole scuole nel lungo corso del XX secolo).
Il contesto storico-sociale è quello del Sud Italia, con la Prima Guerra Mondiale terminata da pochi giorni. Povertà e disperazione la facevano da padrone. Il lavoro nei campi l’unica fonte di sostentamento per non morire di fame; l’educazione dei figli non proprio una priorità, quanto un peso che toglieva manodopera per il lavoro quotidiano. Ecco perché, come hanno raccontato le maestre dell’epoca, nei giorni di pioggia si registrava il pienone nelle classi, proprio perché non si poteva lavorare la terra. Ed è per questo che quello di Maria Russo può essere considerato non un semplice lavoro, ma una vera e propria missione. Una duplice missione, a dire il vero.
La Calabria dei primi del Novecento
La Calabria del Novecento, come la quasi totalità del resto d’Italia, era prevalentemente rurale e analfabeta. L’italiano era una lingua artificiale, che nessuno parlava a casa dove, invece, si usava esclusivamente il dialetto locale. I bambini e le bambine, nonostante l’obbligo scolastico introdotto con l’Unità d’Italia, lavoravano tutti i giorni con i genitori, nei campi e nelle faccende domestiche, e frequentavano la scuola in modo del tutto saltuario. Il nostro era anche un paese patriarcale, in cui il ruolo delle donne era limitato e confinato nelle mura domestiche e totalmente asservito alla figura maschile di riferimento (padre e/o marito).
Queste due caratteristiche della società italiana cominciano a cambiare anche e soprattutto grazie alle maestre di scuola. Con la femminilizzazione del personale scolastico, infatti, ragazze già molto giovani lasciavano la casa natale per andare a insegnare nelle zone più remote del Paese. Per la prima volta queste ragazze andavano a vivere da sole, lontane dalle rigide regole paterne, raggiungendo così autonomia economica e libertà di movimento. “Attraverso di esse si è messa in atto una doppia rivoluzione culturale: l’alfabetizzazione dei bambini e l’emancipazione delle insegnanti stesse” (O. Severini Darot, globalist.it).
Maria Russo, modello di emancipazione femminile
Maria Russo ricalca in piena questa figura pionieristica. Trasferitasi a San Mazzeo, dopo le ore passate dietro la cattedra, s’impegnò a far capire ai genitori, passando di casa in casa e di campo in campo, l’importanza dell’educazione, anche a discapito del lavoro. Dal suo impegno e dalla sua dedizione vennero fuori numerosi professionisti, impiegati in diversi settori lavorativi. Dopo l’esperienza a San Mazzeo, completò la sua carriera d’insegnante a Lamezia Terme, fino al 1940 quando poi fu collocata in pensione.
