Usi, Riti, Credenze
L’Ascensione, come testimoniato dalle sacre scritture è l’ultimo episodio legato alla vita terrena di Gesù, dopo quaranta giorni dal quel gioioso rintocco a festa delle campane che annunciava, a termine dei riti della Settimana Santa, vissuti dalle comunità calabresi in meditazione e preghiera, la Resurrezione di Gesù.
“U jornu d’a ascensione” si ricorda la definitiva salita al cielo di Gesù Risorto e rappresenta simbolicamente l’Esaltazione di Gesù Cristo risorto, cioè la sua intronizzazione alla destra del Padre, che ebbe luogo subito dopo la sua morte.
Al pari della vigilia di Santa Lucia, della Notte di Natale o quella di San Giovanni, anche quello dell’Ascensione, nell’immaginario calabrese rientra nei giorni magici. In questa giornata attraverso alcune ritualità si potevano ottenere dei presagi.
Nel giorno dell’Ascensione di Nostro Signore, era tradizione recarsi prestissimo, prima dell’alba, per trovare e raccogliere i rametti verdeggianti di alcune piante grasse, comunemente dette “erba dell’ascensione”, erbiceddra d’a ascensione oltre che “erba della fortuna”, o come ricordano molti conflentesi semplicemente ’a furtuneddra.
Era già una fortuna riuscire trovare questa pianticella, anche se chi era solito perpetuare il rito annualmente, conosceva bene i luoghi dove reperirla.
I conflentesi, che ben ricordano questa usanza, tramandano una orazione che andava recitata per buon augurio al momento del ritrovamento: – Ben trovata furtuneddra , quando Gesu ija ppè terra. Cchì t’è disse? Cchì t’è scrisse? Furtuneddraa, cchi t’è disse? –
A furtuneddra veniva poi raccolta accuratamente, scegliendo i rametti più lunghi e vividi, e successivamente portata presso le abitazioni. Una volta addobbata con un nastrino rosso o bianco veniva appesa in luogo per lo più in penombra della casa, solitamente dietro la porta o al capezzale del letto. L’erba della Ascensione era una messaggera, si utilizzava principalmente per ottenere dei presagi. La piantina veniva infatti posizionata a testa in giù, e se dopo un po’ di giorni tendeva a salire o fioriva era ben augurante altrimenti se continuava a crescere capusutta o appassiva del tutto annunciava guai e sfortuna, e situazioni avverse.
Tale rito come tanti altri sono stati abbandonati e dimenticati, come i fuochi propiziatori della vigilia dell’Ascensione e il così detto gioco degli anelli, anch’esso in uso quaranta giorni dopo Pasqua.
Il alcuni centri calabresi era in uso fare il u jocu d’a vuccula. Si fissavano alle travi del soffitto di casa due anelli di ferro e vi si legava una fune a mo’ di altalena. Le fanciulle vi salivano sopra e cantavano: O Angili chi jati m’Paradisu facitimi na randi caritati , jati ‘ nduv’è Gesù ccu pizzu e risu , st’anima mia ‘ nci raccumandati. Dicitici ca fazzu nova vita e cca Gesù vuogghiu pi nnammuratu; u ‘ veru nnammuratu, u veru amuri ‘nci vuogghiu stari pi l’eternitati.
Tale rito ancestrale era di buon augurio per trovare un bel fidanzato, possidente e di buon partito!
Il giorno dell’Ascensione, alcune persone si dedicavano alla preparazione di alcune conserve con le primizie di maggio e si dedicava alla raccolta della camomilla, poi lasciata essiccare in grandi ceste o setacci.
MESE DI MAGGIO tra usi, riti e credenze
Il mese di Maggio, in generale, presenta un misto di usi e credenze.
In alcune località calabresi, le famiglie contadine, il primo di maggio usavano appendere dietro l’uscio di casa un mazzetto composto di rami di ginestra spinosa (iure ‘e maju, o maju – anche se a seconda delle località con maju si indicano fiori e piante differenti).
La ginestra spinosa era di buon auspicio e scacciava via le negatività.
Sempre nel primo giorno di maggio si usava mangiare uno o tre fichi secchi per preservarsi dal morso dei serpenti (serpi e curzuni) o in altre località dal morso dei moscerini (muscariaddri e zampagghjuni). Altri solevano consumare tre fichi il tre di maggio in occasione della Santa Croce, per preservarsi dal morso dei serpenti o degli asini.
Si, lo sapevate che Maju è ‘u mise di ciucci? Secondo la credenza popolare si evitava di sposarsi nel mese di Maggio. Pecchì? Pecchì è ‘u mise dei ciucci, e si rischiava di avere i figli stupidi. Altri dicono, semplicemente che in questo mese c’è un giorno sfortunato, e non conoscendo di quale si tratta, meglio non rischiare.
Tantu vala stu carru e sta carrina, quantu vala n’acqua ‘e Maju i due d’aprile. Come recita questo detto popolare le piogge sia nel mese di aprile che in quello di maggio risultano fondamentali per il terreno e per le colture, infatti in questi mesi i contadini si dedicano alla semina o al trapianto e invocano e sperano in qualche pioggerellina primaverile.
“Aprile fa i fiori e Maggio ne ha l’onore”. La primavera regala meravigliose giornate di sole, il filo di vento espande i profumi della natura in fiore, del mese delle rose, del mese Mariano. Nelle chiese e nelle case; laddove qualche devota allestisce ancora l’altarino;
le donne si ritrovano a “tener compagnia” al simulacro della Madre Celeste recitando u Rosariu benedettu de Maria e si rintona il canto:
“Della Quercia, o Benedetta
Madre Nostra di Visora
E Conflenti che Ti adora
e Ti da la vita e il cuor.
Tu più vaga dell’aurora
come un dì Fulgida Stella
splenderai sempre più bella
nella notte e nel dolor….”