L’inverno è il tempo del conforto, dei focolari accesi, delle storie palpitanti raccontate. E così guardando dalla finestra il gigante monastero sospeso fra cielo e terra, biancheggia pensoso a ra Savucina, mentre Puricineddra adiertu i pastori salgono la scalinata a testa bassa mescolando i loro passi anonimi ben calzati a quelli delle anime scalze passate di lì prima di loro in segno di voto. Na coniceddra abbannunata dove ancora lumeggiano cannile addrumate accese nel freddo glaciale. Spaccata al centro cumu na nuce, aperta suo malgrado alla preghiera che preme per uscire, gonfia di chjiantu anticu quanto quelle pietre e più.
Mamma Carmela insieme ai figlioletti sta rincasando dopo una giornata di lavoro nei campi. Quando improvvisamente da un cielo cupo, scivolano giù fiocchi di neve. Vacillando appena negli scarponi pesanti che la tengono in piedi da soli, barcolla ormai impercettibilmente sotto la coltre bianca che le spezza il passo. Dopo pochi attimi dell’inizio della silenziosa discesa, i batuffoli bianchi diventano superficie uniforme che tutto copre.

Una candida illusione, che presto muta nella disperazione. Nella tempesta di neve Carmela arranca e procede a fatica tenendo in braccio il figlioletto più piccino e per la mano l’altro. Il vento gelato la scuote le gela il viso. Pensa di essere ormai vicina al paese rapita dal suono lontanante di una campana. Il lume nelle sue mani, tremolante s’annebbia e si trasformava in cera ,in luce diffusa, in visione ormai interiore. E allora suppliche spremute a forza in quella fredda giornata d’inverno….
A mmie, Madonna mia, ricogliemìnne:
Ssa nive mu me crùovica chi scinne.
Ad iddri no! su’ dde ‘stu sangu ‘u jure,
Su’ ccarne de ‘sta carne chi se gnela.
Madonna mia, ricòglite a Ccarmela;
Ma sàrva ‘sse due pòvare creature.