Di Francesco Stranges
Il terremoto del 1905 aveva colpito gravemente Martirano producendo lutti e rovine ed era annunciata una visita del Re ai luoghi del disastro.
Il Re arrivò con una autovettura a Santa Maria, dove si radunò una folla di curiosi per vederlo col suo seguito, fece una piccola sosta e gli vennero offerti in dono molti prodotti locali.
Il Re apprezzò in modo particolare il pane di farina di castagna che commentò come “pane dolce al sapore di miele” .
In fretta era stata bonificata alla meno peggio la strada di collegamento da Scagliuni per consentire il passaggio verso Martirano.
Il proseguimento era possibile solo a dorso di asino e per il Re erano stati impegnati una mula, una bella sella e Cicciu, il palafreniere, tutto messo a disposizione da Don Rodolfo Isabella che poi conservò per lungo tempo la sella.
Cicciu conduceva la cavalcatura per la cavezza e consapevole dell’incarico avuto stava accortò ad evitare all’angusto personaggio ogni difficoltà; da un po’ di tempo però vedeva che questi, quando il sentiero diventava più ripido, allargava le gambe e spingeva coi piedi nelle staffe, come se cavalcasse un cavallo. Allora gli sovvenne che la mula era ombrosa e che se avesse avuto qualche scarto avrebbe disarcionato il trasportato con ogni intuibile conseguenza; decise perciò di informarlo immediatamente: “O Rre, strinci ‘e cosce c’a mula è vizzarra e te jetta”(o Re, stringi le gambe perché la mula è ombrosa e ti disarciona) e quello, sentendosi interpellato, senza capire il senso delle parole rispose: “ma cosa dice brav’uomo , cosa dice?”
Anche Cicciu non aveva capito che il Re non avesse capito; d’altra parte come poteva pensare che il Re non avesse capito quando lui era stato così chiaro, e lasciò correre per non importunare.
A breve però una certa tensione trasmessagli dalla cavezza lo portò a rinnovare l’invito: “O Rre, taiu dittu mu strinci e cosce ca a mula è vizzarra e te jetta”.
L’interpellato ancora non volle capire e rispose col suo” Ma cosa dice brav’uomo, cosa dice mai?”e continuò ad allargare le gambe e a spingere nelle staffe, al che spontaneo ed immediato il commento del premuroso palafreniere: “Tu tinne futti ? e futtatinne , ca si cadi ta squatri tu ‘a crozza”(tu te ne infischi? Ed infischiatene , tanto se cadi la testa te la rompi tu).
E qui si chiuse il conversare tra il sovrano e suddito.