La necessità di macinare i cereali risale agli albori della civiltà. Antichi Egizi, Greci e Romani facevano uso del mulino a pietra naturale azionato da animali o corsi d’acqua.
Il mulino a pietra naturale e la tecnica di macinazione
La tecnica di macinazione a pietra naturale è il metodo più antico e ancora non superato per la produzione di farine di alta qualità. Permette di conservare tutte le proprietà nutritive dei chicchi di grano senza perdere vitamine, proteine e sali minerali.
La macinazione a pietra naturale consente la produzione di una farina con una più elevata presenza di crusche. Ciò assicura una migliore conservazione delle caratteristiche organolettiche, oltre che del sapore proprio del grano, da cui si ricavano farine di notevole pregio. Consente la massima conservazione delle proprietà nutrizionali ed aromatiche del chicco.
La lavorazione lenta previene il surriscaldamento dei chicchi durante la macinazione, favorendo lo sviluppo di profumi più complessi e di un sapore più intenso. Inoltre, grazie allo sfregamento delle macine, l’olio di germe di grano, sostanza ricchissima di vitamine e minerali, si mescola a tutte le parti del chicco. In particolare alla sua parte più nobile, il germe di grano, conferendo agli sfarinati la tipica colorazione avorio e garantendo un prodotto di indiscussa qualità. Il mulino a pietra naturale produce una farina “non molto raffinata”. Essa conserva diverse sostanze importanti come proteine, vitamine (B1,B2,PP, B6) magnesio, calcio, e altri sali minerali.
I mulini a Conflenti
I mulini ad acqua in pietra naturale hanno rappresentato uno strumento indispensabile per l’alimentazione di una popolazione rurale. Vitali per un’economia agricola sono sopravvissuti fino al momento in cui non sono stati sostituiti da mulini moderni e alimentati a energia elettrica. I mulini a Conflenti erano quello della famiglia Aurora. Era il più importante ed era chiamato “mulino sotto rugeri” e serviva Conflenti superiore e campagne. A Conflenti inferiore vi erano quello di Sante Roperto (detto Sante a vurpe) e quello della famiglia Calabria.
Erano ovviamente tutti mulini ad acqua. In seguito, con l’arrivo della corrente elettrica, ne aprí uno Lorenzo Roperti (u minutu).
Il mulino calabrese ha segnato il territorio della Calabria
Il mulino calabrese è prevalentemente del tipo a ruota orizzontale. La ruota lignea detta ritrecine è ad asse verticale si alimenta con una piccola doccia in legno. Un’imboccatura più o meno stretta a seconda delle stagioni e del regime delle acque, provvede a dirigere con forza il getto d’acqua sui cucchiai costringendo l’albero alla rotazione. La doccia è a sua volta alimentata dall’alto da un bacino di raccolta dell’acqua, sovente dissimulato da una torretta sormontata talora da una croce. La ruota lignea è composta da una serie di pale montate sullo stesso asse della ruota. Le pale intagliate in modo da offrire al flusso d’acqua una superficie concava e leggermente obliqua e sfruttare al massimo la potenza del gettito. Il moto si trasmette tramite l’asse della ruota che è direttamente collegata alle due mole (soprana e sottana), l’una rotante e l’altra fissa che dimorano nella stanza superiore. Le mole sono di pietra locale.
All’inizio del secolo sono state sostituite dalla pietra naturale francese del 1800, “Le fertè”. Quella fissa si trova in una struttura in muratura. Sono sormontate da una tramoggia di caricamento del cereale, il cui flusso viene regolato tramite una cordicella. L’acqua si raccoglie nelle condutture collocate a un livello superiore agli edifici, la caduta al livello inferiore e la creazione di un potente getto d’acqua alimentano le ruote orizzontali.
Altri mulini in Calabria
Il Mulino del Duca di Giffone: azionato dalle acque del torrente Sant’Elia. Ancora oggi in funzione. Vi è la possibilità di vedere con i propri occhi la trasformazione dei chicchi di grano in fragrante farina.
Il Mulino del Vecchio, ad acqua ancora funzionante, si trova alla periferia del paese in località Vecchio. La data di costruzione risale agli inizi del 1800. La struttura ha due macine e due saette “sajitte”. Esse sono condotte forzate percorse da potenti getti d’acqua che muovono le macine. Il fabbricato si caratterizza per la muratura in pietra, la copertura a tegole, i cunicoli in pietra locale dove anticamente si maturavano lo “stocco” (pescestocco) ed i lupini. Il Mulino ad acqua rappresenta una rara testimonianza dell’antica archeologia industriale. E’ uno dei pochi Mulini ad acqua.
Il Mulino di San Floro: primo mulino biologico in Calabria
Il Mulino di San Floro è stato salvato dal giovane Stefano Cavaccari, originario di San Floro. Grazie a un progetto di crowdfunding, ha raccolto 500mila euro creando la più grande start up agricola del mondo. Il progetto intitolato “Mulinum” ha l’obiettivo di riportare in Calabria la filiera dei grani antichi. Inoltre, di rilanciare il proprio territorio partendo dall’agricoltura, dai prodotti a km 0 e dalle lavorazioni di una volta. Tutto cominciò quando il giovane Cavaccari seppe che l’ultimo mulino a pietra naturale della sua zona rischiava di chiudere. Si trova nella Valle dei Mulini, luogo in cui anni fa ce n’erano ben 9. Con l’arrivo dei mulini moderni a cilindri, i mulini a pietra naturale furono smontati e dismessi. Questo passaggio portò alla dismissione anche delle coltivazioni di grano locale. I contadini invece di produrre la farina in proprio, hanno iniziato a vendere il grano ai mulini industriali. E così il grano si mescola con altri grani prodotti altrove.
Ringraziamo Ivana Paola e Rossana Nardacci
Foto di Nicolas Mastroianni