Anni fa sul finire dell’autunno, la quiete dei boschi e dei sentieri di montagna, veniva rotta da muggiti, belati e suoni di campane e campanacci. Erano le mandrie e le greggi che compivano la cosidetta transumanza: scendevano a valle per trovare pascoli in cui svernare. Quando gli armenti attraversavano i paesi, i bambini lasciavano i loro giochi per andare a vedere quello che per loro era uno spettacolo unico ed emozionante. Tanto che, passata l’ultima bestia, si accodavano ai mandriani cercando di imitarne le gesta, gli urli e i fischi con cui guidavano con padronanza gli armenti.
La transumanza
Era questa la transumanza, lo spostamento degli animali che avveniva lungo sentieri e tratturi che abbreviavano le distanze. Il viaggio durava giorni e si sostava in luoghi prefissati detti “riposi” o stazioni di posta, dove potevano riposare sia le bestie, in appositi recinti, che gli uomini in vecchie baracche riscaldate alla meglio.
A Conflenti non avveniva una lunga transumanza. Le greggi dal Reventino si spostavano verso la Carrara e le Muraglie, o al massimo si spingevano a Cirignano e a “Ru jume a Motta”. Quindi il tutto avveniva al massimo in una giornata. Nella nostra zona non ci sono mai state mandrie bovine, ma solo piccoli greggi di pecore e capre.
La mia esperienza
Io e la mia famiglia avevamo quattro mucche e quattro capre, ma avendo la stalla, l’ovile e pascoli bastevoli non li spostavamo.
Da bambini io e i miei fratelli, prima di andare a scuola, andavamo a mungere il latte e davamo da mangiare alle bestie. Con il latte appena munto facevamo colazione e il resto mamma lo cagliava per farci il formaggio. Tornati da scuola appena pranzato correvamo a liberare le bestie e pulivamo la stalla. Io facevo i compiti mentre le mucche pascolavano. La sera chiudevano le bestie, tornavamo a mungere il latte e davamo loro del paglia o fieno per la notte.
Quando nascevano i capretti e i vitellini procedevamo a farli allattare e a tenerli puliti. I capretti si macellavano per Pasqua o per Natale e si mangiavano in famiglia o si vendevano a qualche amico. Lo stomaco del capretto veniva riempito di latte e messo ad affumicare per trasformarsi nel caglio naturale con cui poi si faceva il formaggio. I vitellini, invece, raggiunta l’età di un anno e mezzo, al massimo due, li vendevamo ai macellai del paese.
Il formaggio
Raccolto il latte della sera e della mattina mia mamma lo intiepidiva, ci scioglieva la giusta dosa di caglio e lo lasciava cagliare per circa un’ora. Appena era pronta la cagliata, la rompeva e lo rimetteva sul fuoco e appena era caldo raccoglieva il formaggio con la “fhusceddra”. Finito di raccogliere il formaggio, si aggiungeva al siero una parte di latte puro. Si metteva di nuovo sul fuoco e, girando continuamente con un mestolo, saliva la ricotta che poi raccoglievamo dentro la “fhusceddra”. Il formaggio veniva messo in salamoia per un giorno, rigirandolo di tanto in tanto. Poi veniva sciacquato con l’acqua fresca e mangiato come primo sale, altrimenti si metteva a “ncirare” al sole in apposite ceste.