Francesco Stefano Stranges, detto Francu ‘e Ricu, il patronimico a identificarlo tra i tanti con lo stesso nome nel paese, è un Conflentese DOC, diventato Napoletano d’adozione per i casi della vita. Autore di due libri su storie di Conflenti vissute da Conflentesi, “Le pietre, le case, la gente” e “La casa di parole”, è una miniera di storie e di ricordi sul passato del nostro paese. Nonché, per la sua età avanzata, una fonte di saggezza per i giovani conflentesi alla ricerca di notizie sul passato, per cui gli abbiamo posto alcune domande.
L’intervista
Volevamo chiederti, per chi non ti conosce, il perché di questo tuo amore per il paese natìo, che trasuda da ogni tua storia o racconto?
Mi sono chiesto tante volte perché lo amo, nonostante i tanti anni passati, meravigliandomi di tanta fedeltà e di questo attaccamento, riferendoli a momenti della mia infanzia, della giovinezza e della maturità, alla tristezza per circostanze avverse al dispiacere per gli affetti e le cose perdute.
Lo amo, per come ho scritto, perché i primi passi li ho fatti lì, le prime parole le ho sentite lì, nel mio dialetto. Per il patrimonio di affetti, di sentimenti che mi ha dato e che mi hanno formato. Adesso lo amo anche per quel desiderio di quiete che si appaga affacciandomi alla finestra che dà sulla via principiale e scommettere con mia moglie se arriva prima qualcuno da curva e zu Nicola e Cuascu o du bar Centrale. E aspettare, di sera, un quarto d’ora per vedere passare un’automobile. Troppa quiete, sa di abbandono, direbbe qualcuno, ma è quiete del mio paese ed a me piace!
Ma lo amo soprattutto perché mi sento abbracciato. Mi sento circondato dalla sua conformazione fisica, da una parte i monti del Reventino verso Marignano, la Salicara, i Tiermuni, e dall’altra Guglia, A Lisca, A Cirzuddra e lontano u Mancusu. Che sembrano braccia che ti stringono al cuore in un continuo gesto d’amore. Ci si sente protetti.
Cosa ti lega alla Querciuola, posto simbolo di Conflenti?
È un luogo sacro e di aggregazione, ricordato nelle preghiere di tutti i conflentesi sparsi nel mondo. Ha trovato nuova dignità e bellezza grazie al silenzioso e tenace lavoro di un giovane maltese, arrivato per caso a Conflenti, padre Nathanael Theuma. Con passione e talento ha affrescato la piccola chiesa della Querciola facendola brillare di oro e luce, non solo grazie agli splendidi affreschi ma anche grazie alla spiritualità profusa dalla sua fede, che ancora si percepisce in questo luogo, dedicato alla Madonna della Quercia.
Uno dei tuoi più grandi desideri è realizzare un “luogo di memorie”. Come te lo immagini?
Da tempo mi è accaduto di colloquiare con il monumento di Carlo Maria Tallarigo, raccogliendone le lamentele per lo stato di incuria e di abbandono in cui si trova e mi sono impegnato di ottenergli una collocazione idonea. Carlo Maria Tallarigo, conflentese dalla nascita, è stato studioso, professore universitario alla Federico II di Napoli e autore di diversi libri. Mi piacerebbe se si realizzasse un luogo della memoria in una zona centrale del paese ove porre il busto di Tallarigo e poi aiuole, sentieri e piazzole intestate a vari personaggi della storia conflentese. Inoltre non dovrebbe mancare un monumento all’emigrato, partito in qualunque tempo e per ogni terra, che ha portato nel cuore il caldo ricordo di questa terra e nell’anima il desiderio di ritorno. Ma sono profeta in patria e temo che non avrò seguito.
Un altro desiderio è che, in occasione dei lavori di ampliamento degli spazi del cimitero, siano eliminate le vecchie sepolture con interramento, poste dinanzi alle tombe, soggette a involontario calpestio. Raggruppando i resti dei seppelliti, dopo averli censiti, per collocarli alla base di un sacello appositamente realizzato.

La casa di parole
Cosa si sente di dire ai giovani che hanno deciso o sono stati spinti, come te, a lasciare il paese?
Dire che Conflenti esiste. Che è la culla della loro infanzia e ci vuole un po’ di gratitudine per il paese. Ricordarlo ma non solo la sera tardi sull’imbrunire, quando un po’ di nostalgia ti prende. Ma ricordarlo sempre, tornarci per portare qualcosa di nuovo. Per respirarne di nuovo l’aria, perché è buona l’aria di Cujjianti. E anche agli anziani, emigrati in città, dico di tornarci e ridargli un po’ di vita.
Il mio sarà un fatto poetico, ma io tornerò lì quando avrò finito i miei giorni.
E a quelli che, invece, hanno voluto restare, nonostante la scarse opportunità, che consiglio può dare?
Inventarsi un’attività che renda, magari riscoprendo le nostre tradizioni agricole, migliorandole con i moderni strumenti, per esempio. Dando vita a una nuova figura di contadino-imprenditore. Puntare sul turismo di nicchia e sui prodotti tipici, proteggerli e varizzarli.
Noi giovani sappiamo poco o nulla del passato del nostro paese e dei nostri antenati. Che cosa possiamo fare per non smarrire la nostra storia?
Ascoltare, soprattutto dagli anziani, i fatti e le storie di persone e luoghi di Conflenti, e scriverli, per mantenerne traccia e trasmetterli alle generazioni future. Perché lo scritto resta. Altrimenti tutto il nostro passato, di proverbi, luoghi e persone, andrà perso.
Pensi di scrivere un altro libro?
A luglio, probabilmente, uscirà il terzo libro di storie e racconti alcuni già pubblicati sul mio blog ‘U Cuntarino. Li ripropongo su carta perché mi piace la carta scritta.

Le pietre, le case, la gente. Il primo libro di F. Stranges
Leggendo le tue pagine, si percepisce un amore così profondo per la nostra terra, difficile da cogliere in chi ancora ci vive. Che cosa dobbiamo fare per innamorarci così?
Volere bene al paese così come è, senza volerlo stravolgere. Apprezzando quello che lo rende unico e diverso dagli altri della zona, il paesaggio, il fiume, il clima, il suo dialetto e il suo patrimonio di storia e persone. Non limitarsi a criticare Conflenti, ma impegnarsi per conservarlo e migliorarlo.
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